1 marzo 2014

La fatica non è strana

La gente dà spesso importanza solo a quello che si vede, come la sedia a rotelle. Invece, uno dei primi sintomi che mi toglierei, se potessi, nemmeno si vede: è la fatica.
Una perenne sensazione che ti accompagna dalla mattina alla sera a prescindere da quello che fai e soprattutto non fai.
A parte il fastidio fisico, c'è il problema che tutti ti scambiano per pigro, disinteressato, antisociale. "Ti va di...?" Subito pensi: ce la farò? riuscirò a nascondere la fatica? l'uscita mi piacerà abbastanza da dimenticare la fatica? Il tempo di farti un paio di queste domande e già ti senti dire: "Ma dai, muoviti un po'!"

Puoi consolarti pensando che quella fatica che oggi ti rende diverso dagli altri, fino a poche generazioni fa era la condizione normale. La gente lavorava tutto il giorno piegando la schiena, viaggiava a piedi, si sedeva solo per mangiare e nemmeno in bagno perché non c'era il water.
Poi, improvvisamente, la fatica è stata combattuta come la peste: adesso si vive seduti e il lavoro è diventato comandare macchine, anche in casa. Si va in palestra, è vero, ma ci si va con la macchina.
Dunque, guardando appena un po' indietro: sono strano io che faccio una fatica boia o siete strani voi?

Farmaci contro la fatica ci sono ma - per dirla breve - non funzionano.
Come sempre, la migliore soluzione è arrangiarsi. Le tecniche sono piuttosto ovvie: evitare le fatiche inutili, distribuire quelle inevitabili, tenersi in efficienza fisica, evitare qualsiasi malanno anche il raffreddore, mangiare leggero e riposarsi. Quest'ultima merita una precisazione meno ovvia: ci si riposa sul serio solo "non facendo assolutamente nulla". Non ci si riposa con la tivù, il cellulare, il computer e neanche leggendo. Ma: sdraiandosi mezz'ora stile camera ardente respirando con l'addome (impegnando così un muscolo solo anziché 50 come avviene con la respirazione toracica) e, per non buttarsi giù, pensando a come doveva essere la giornata dei servi della gleba, dai quali tutti discendiamo. Una discendenza che dimostra che le energie, a guardar bene, non finiscono mai del tutto, nemmeno dopo la giornata del servo della gleba.
E' da lì che nasce il detto toscano: "Tira di più un filo di sottana che un carro di buoi della Chiana", con le sue più note varianti.
Giovanni Fattori, 1870
Il secondo classificato nella gara di tiro
[continua su SALUTE (?)]


Ps: oggi sono 19 anni dalla diagnosi.
Si impone un bilancio assai articolato: poteva andare meglio, poteva andare peggio.
Poteva anche non venire (e grazie...).


Flash dal web a rotelle

Brave Cure Girls, rompete l'anima a tutti che magari qualcosa si cava anche per noi medullolesi non traumatici.
Provarci non costa nulla. Anzi no, costa impegno. E per quello che ci mettete vi ringrazio.

A loro dedico questa struggente canzone che parla di femmine che, in fondo, sono paraplegiche anche loro. Difetto che non impedisce di far girare la testa a un sacco di gente tra cui Ulisse. Dedico, in particolare, l'immagine di loro distese sugli scogli che salutano con la mano prima di scivolare di nuovo nell'acqua. Irraggiungibili. Le sirene.
They wave at me, wave at me
They wave and slip back into the sea...
(Mermaids, Nick Cave, 2013)